Conte inaugura la fase 3 e il tasso di disoccupazione raggiunge il minimo dal 2007. Ma proviamo ad andare a fondo…
All’indomani della conferenza stampa tenuta dal Premier Conte in cui è stato annunciato l’ingresso in fase 3, numerosi sono gli spunti positivi e incoraggianti per gli italiani. Tra i temi più caldi spiccano sicuramente il Recovery Plan, fortemente voluto dall’Italia, e un piano di modernizzazione del Paese basato sulla digitalizzazione e sullo sviluppo dell’alta velocità da nord a sud, isole comprese, oltre che naturalmente la riapertura delle scuole, prevista per il mese di settembre.
Tutto molto bello, se non fosse per il fatto che l’ISTAT, senza neanche bussare alla porta, arriva e ci riporta con i piedi per terra, sventolando un dato che tira un fendente dritto al cuore del nostro Paese: “Ad aprile 2020 si contano 274 mila occupati in meno rispetto a marzo. Calo complessivo di 400 mila occupati”. Paradossalmente, il tasso di disoccupazione scende dall’8% al 6,3%, toccando il minimo da novembre 2007. Una buona notizia quindi? Assolutamente no.
Il bello (o il brutto) dei dati è che sono solo numeri, e chi ha la presunzione di trarne un’informazione utile con un semplice sguardo commette un grande errore. Con un’analisi più accurata, uno studio leggermente più attento del semplice numero percentuale, infatti, emerge tutto ciò che un dato non esprime in un primo momento, ma che racchiude dentro di sé. Emerge, purtroppo, che il lockdown ha generato negli ultimi due mesi un incremento terrificante del numero di inattivi con una cifra record di +746mila unità (per il solo mese di aprile), quasi un milione di persone che il lavoro l’hanno perso o che neanche più lo cercano. Gli inattivi sono persone scoraggiate, sfiduciate, persone che hanno smesso di cercare un lavoro e che quindi vengono traghettate dal girone dei disoccupati a quello degli inattivi, ancora più in basso, con un richiamo all’inferno dantesco che non è poi così metaforico. Nella realizzazione delle proprie indagini, infatti, l’ISTAT considera la “forza lavoro” come l’insieme degli occupati e dei disoccupati, rispettivamente le persone occupate e in cerca di occupazione. Accanto alla forza lavoro, tuttavia, esiste un insieme di persone, quello appunto degli inattivi, che non sono occupate e che non cercano lavoro. Gli inattivi sono quindi dei soggetti troppo spesso dimenticati, che da dietro le quinte muovono il semplice numero percentuale (del tasso di disoccupazione) a rialzo o al ribasso. È proprio la superficialità insita nello sguardo a quel dato che spesso pone in secondo piano quella categoria di persone che invece andrebbe considerata e tutelata ancor più dei disoccupati.
È questa, quindi, la vera sfida del nostro Paese all’indomani dell’inizio della fase 3: rilanciare in campo tutti quegli uomini e quelle donne che sono momentaneamente in panchina per poter vincere una delle partite più complicate della nostra storia.
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