Parità di genere: com’è messa l’Italia?

Si fa fatica a crederlo: l’Italia è il paese europeo che sta progredendo più velocemente verso la parità di genere. Ma quello che sta facendo non è abbastanza. 

Articolo a cura di Maria Rosaria Moccia – Human Resources Associate

A seguito di reclami introdotti dalla ong internazionale University Women Europe, il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa “ha riscontrato violazioni del diritto alla parità di retribuzione e del diritto alle pari opportunità sul luogo di lavoro in 14 dei 15 Paesi” che hanno accettato “di applicare la procedura dei reclami collettivi della Carta sociale europea”. Tra i 15 Stati esaminati c’è anche l’Italia ma la sola ad aver raggiunto la sufficienza è la Svezia.

Problematica da evidenziare, si specifica, non è solo il divario retributivo di genere, ma anche “la mancata trasparenza salariale nel mercato del lavoro, l’assenza di vie di ricorso efficaci e l’insufficienza dei poteri e mezzi conferiti agli organismi nazionali per la promozione della parità di genere”.

Secondo Strasburgo, “l’Italia ha violato i diritti delle donne perché ha fatto insufficienti progressi misurabili nel promuovere uguali opportunità per quanto concerne una pari retribuzione”.

Eppure, considerando quanto emerge dal quarto «Gender Equality index» (l’indice di uguaglianza di genere) che è stato presentato il 15 Ottobre 2019 a Vilnius dall’Eige, l’agenzia europea che monitora l’uguaglianza di genere nei ventotto Stati Membri, l’Italia sta facendo bene i compiti (in 12 anni ha guadagnato quasi 14 punti) ma i risultati non sono ancora sufficienti. Anzi, sono inferiori ai punteggi medi degli altri Stati europei in tutti i settori, tranne che in quello della salute. L’Italia inoltre registra il punteggio più basso di tutti gli Stati membri dell’UE per quando riguarda le discriminazioni nell’accesso al mondo del lavoro:

-Il tasso di occupazione (delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni) è del 53% per le donne e del 73% per gli uomini. Circa il 33% delle donne lavora a tempo parziale, contro il 9% degli uomini. In media, le donne lavorano 33 ore a settimana e gli uomini lavorano 40.

Inoltre, la concentrazione disomogenea di donne e uomini nei diversi settori del mercato del lavoro rimane un problema». Circa il 26% delle donne lavora nell’istruzione, nella sanità e nel lavoro sociale, rispetto al 7% degli uomini. Solo il 6% delle donne lavora nelle professioni scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche (STEM) rispetto al 31% degli uomini. E le retribuzioni?

Nel nostro Paese sebbene i guadagni mensili medi di donne e uomini siano aumentati, le donne continuano a guadagnare il 18% in meno rispetto agli uomini. Nelle coppie con bambini, poi, le donne guadagnano il 30% in meno rispetto agli uomini. 

Altro punto saliente esaminato dal Ceds e dal Gender Equality Index è quello inerente alle posizioni di potere ricoperte dalle donne. Su questa materia, l’Italia prende il voto più basso di tutta la pagella. Anche se, va detto, è questo il campo in cui si sono registrati i miglioramenti più significativi: la percentuale di donne nei consigli di amministrazione delle maggiori società quotate in borsa è passato dal 3% al 36%.

In conclusione, il percorso che l’Italia sta intraprendendo per riuscire ad affermarsi un Paese all’avanguardia e paritario anche per le donne è ancora lungo. Tuttavia, i dati positivi di crescita devono rappresentare un fattore cardine su cui le donne di oggi e di domani potranno affidarsi per colmare l’ampio ed ingiustificato gender gap italiano.

 

Maria Rosaria Moccia

Maria Rosaria Moccia

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